Relazione illustrativa e testo del disegno di legge in materia di referendum provinciali
89/XVI del 7 marzo 2021 a prima firma di Alex Marini
(versione pdf)
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Relazione illustrativa al disegno di legge “Modificazioni della legge provinciale sui referendum provinciali 2003: introduzione del voto per corrispondenza, della raccolta delle firme elettronica, dell’opuscolo informativo e rinvio del voto referendario previsto per il 2021”
Sotto il profilo formale, la partecipazione popolare rappresenta uno degli elementi cardine dell’assetto costituzionale italiano. All’articolo 1 la Costituzione sancisce che la sovranità appartiene al popolo mentre all’articolo 3 stabilisce che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
A livello statale gli strumenti per assicurare la partecipazione diretta dei cittadini alla determinazione della politica nazionale sono disciplinati dall’articolo 50, il quale prevede che tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità; dall’articolo 71 che prevede che il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli; dall’articolo 75, secondo il quale è indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedano cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
A livello regionale gli strumenti di partecipazione popolare sono invece individuati dall’articolo 123, il quale prevede che lo statuto regionale regola l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali. Per quanto riguarda la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, lo statuto di autonomia demanda la disciplina del diritto di iniziativa e del referendum alle leggi provinciali, le quali devono essere approvate con procedimento rafforzato. L’articolo 47 dello Statuto specifica che in armonia con la Costituzione e i princìpi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, con il rispetto degli obblighi internazionali e con l’osservanza di quanto disposto dal capo II del titolo II, la legge provinciale, approvata dal Consiglio provinciale con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, determina l’esercizio del diritto di iniziativa popolare delle leggi provinciali e del referendum provinciale abrogativo, propositivo e consultivo.
I padri costituenti lasciarono intenzionalmente un ampio spazio di discrezionalità nel merito della disciplina degli istituti di partecipazione popolare a livello regionale e locale, prevedendo la possibilità di adire agli strumenti referendari sia sulle leggi che sugli atti amministrativi. Per far comprendere meglio l’orientamento del dibattito nella Costituente (art.75 e art.123) che riprese quello del Parlamento prefascista del Regno d’Italia, si riportano alcune delle affermazioni più significative che poi hanno determinato gli attuali principi costituzionali in materia. Le affermazioni di seguito riportate si aggiungono a quelle più note di numerosi esponenti della Democrazia Cristiana e in particolare di Don Luigi Sturzo, forte sostenitore dello strumento referendario a livello locale, e Costantino Mortati, relatore della Parte II della Costituzione e, successivamente, giudice della Corte Costituzionale, che per rimarcare la “funzione equilibratrice” del popolo tramite il referendum aggiungeva: “nel senso che potrebbe anzitutto avere l’effetto utile di promuovere l’educazione politica del popolo, predisponendolo a queste consultazioni, e quindi di promuovere una certa idoneità vantaggiosa alla progressiva elevazione dell’attitudine politica popolare nell’apprezzamento dei programmi politici”. Emilio Lussu, fondatore del Partito Sardo d’Azione e del movimento Giustizia e Libertà, sosteneva che il referendum “deve costituire un mezzo di espressione di volontà democratica, da usarsi non tanto nell’ambito del territorio nazionale, quanto in quello più ristretto delle Regioni e comuni”. Secondo Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea costituente e dirigente del Partito Comunista Italiano, il riconoscimento dei diritti referendari a livello locale sarebbe stato propedeutico a “farne avvertire l’utilità in sede nazionale: l’applicazione più facile e più frequente che può farsene negli ambienti più ristretti fa sviluppare la tendenza a maneggiare questo strumento di intervento diretto del popolo”.
Nonostante il forte orientamento a favore dell’istituto referendario a livello regionale, i Consigli regionali non hanno mai adottato scelte innovative per sbloccare e rendere più agevole la partecipazione diretta dei cittadini in attuazione di quanto sancito dalla Costituzione e successivamente da accordi internazionali come il Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966) o la Carta europea dell’Autonomia Locale (1985).
La tendenza non è cambiata nemmeno con il venir meno del ruolo di monopolio dei partiti nella definizione delle politiche pubbliche nazionali e regionali e nemmeno a seguito delle importanti pronunce giurisprudenziali adottate dalle Corte Costituzionale nel 2004. Nonostante il radicale mutamento del sistema partitocratico e l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale e del diritto internazionale, è un fatto che le Regioni non si siano sentite in dovere di rimuovere gli ostacoli che impediscono un effettivo utilizzo degli istituti di partecipazione.
Per chiarire la portata delle pronunce del 2004 si riporta di seguito un passaggio della sentenza n.372/2004 con la quale la Corte Costituzionale ha affermato che “la materia referendaria rientra espressamente, ai sensi dell’art. 123 della Costituzione, tra i contenuti obbligatori dello statuto, cosicché si deve ritenere che alle Regioni è consentito articolare variamente la propria disciplina relativa alla tipologia dei referendum previsti in Costituzioni, anche innovando ad essi sotto diversi profili, proprio perchè ogni Regione può liberamente prescegliere forme, modi e criteri della partecipazione popolare ai processi di controllo democratico sugli atti regionali”. Di non minore importanza è la sentenza n.379/2004 con cui la Corte Costituzionale ha stabilito che gli istituti di partecipazione “non sono certo finalizzati ad espropriare dei loro poteri gli organi legislativi o ad ostacolare o a ritardare l’attività degli organi della pubblica amministrazione, ma mirano a migliorare ed a rendere più trasparenti le procedure di raccordo degli organi rappresentativi con i soggetti più interessati dalle diverse politiche pubbliche”.
In provincia di Trento nel 2003 è stata introdotta una legge sui referendum provinciali ma che non ha mutato la sostanza del quadro giuridico. Quelle che il legislatore provinciale ha mascherato come cautele per limitare un uso indiscriminato dello strumento referendario sono in realtà ostacoli insormontabili che impediscono di esercitare il diritto a promuovere referendum e dunque di concorrere con metodo democratico alle scelte politiche dei rappresentanti eletti. La raccolta di 8.000 firme per poter promuovere un referendum rappresenta una procedura estremamente gravosa per la quasi totalità delle organizzazioni politiche e sociali. L’impegno di risorse umane e finanziarie è infatti eccessivo per la quasi totalità delle organizzazioni. La scarsa disponibilità di autenticatori, la complessità burocratica per l’occupazione del suolo pubblico e gli adempimenti necessari per richiedere e ottenere i certificati elettorali rappresentano un carico di lavoro irrazionale rispetto ai principi dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione amministrativa. Il quorum al 50%, poco coraggiosamente abbassato al 40% nel 2019, è la leva perfetta per far prevalere l’ostruzionismo sulle ragioni dei proponenti. Le procedure di tenuta dei registri elettorali e le procedure di voto sono obsolete e si incardinato sull’utilizzo di strumenti vetusti. Infine, il dispositivo conclusivo per convertire l’eventuale voto valido sul referendum propositivo in atti normativi o legislativi è il passaggio finale per far desistere in partenza i cittadini che fossero interessati a promuovere un’iniziativa.
L’attuale disciplina del referendum propositivo oltre ad avere un esito incerto e indeterminato non definisce nemmeno una fase di confronto collaborativo tra comitato promotore e istituzioni provinciali per individuare provvedimenti amministrativi o legislativi che colgano il contenuto della proposta con un metodo condiviso e trasparente. Non è un caso che dall’entrata in vigore della legge sul referendum provinciale nel 2003 si siano svolti solo due referendum abrogativi, senza peraltro che fosse stato raggiunto il quorum, e solo un referendum propositivo, con cui si chiede l’istituzione su tutto il territorio agricolo provinciale di un distretto biologico e la cui indizione è stata rinviata a data da destinarsi a causa della pandemia da Covid-19. Non si è mai svolto nemmeno un referendum consultivo con l’unica eccezione contenuta nell’ordine del giorno 182/XVI del 2 luglio 2020, con cui il Consiglio provinciale chiede di valutare la convocazione di una consultazione referendaria in merito alla questione delle chiusure domenicali
Il proposito del presente disegno di legge è pertanto di aprire un dibattito sulla legge provinciale in materia di referendum proponendo la rimozione degli ostacoli che rendono l’istituto inefficace ai fini dell’effettiva partecipazione dei cittadini all’organizzazione politica, economica e sociale della Provincia e altrettanto difficoltosa la partecipazione ai processi di voto, soprattutto per i residenti all’estero e per i residenti temporaneamente dimoranti fuori Provincia.
Oltre (1) a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale nelle sentenze citate nei paragrafi precedenti, (2) alla prospettiva contenuta nel Protocollo addizionale della Carta europea dell’Autonomia Locale sul diritto dei cittadini di partecipare agli affari delle collettività locali in via di ratifica dal Parlamento italiano come richiesto con il voto del Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige/Südtirol 3/XVI, (3) la risoluzione n. 2015/2035(INL) dell’11 novembre 2015 sulla Riforma della legge elettorale dell’Unione europea con cui il Parlamento europeo incoraggia gli Stati membri ad autorizzare il voto per corrispondenza, elettronico e via internet, al fine di aumentare la partecipazione di tutti i cittadini e tutte le cittadine e facilitare loro il voto e (4) alle raccomandazioni del Consiglio d’Europa nel Codice di buona condotta sui referendum, giova ricordare anche il recente parere del Comitato dei Diritti Umani dell’ONU (“Views adopted by the Committee under article 5 (4) of the Optional Protocol concerning communication No. 2656/2015”).
Il Comitato dei Diritti Umani dell’ONU nelle considerazioni richiamate nel paragrafo precedente ha ritenuto che gli obblighi imposti dall’Italia per la raccolta delle firme (in particolare l’obbligo di raccogliere le firme in presenza di funzionari pubblici o rappresentanti eletti) costituiscono una restrizione irragionevole dei diritti con conseguente violazione dell’articolo 25, a) del Patto Internazionale sui diritti civili e politici (PIDCP) che prevede che “Ogni cittadino ha il diritto, e deve avere la possibilità, senza alcuna delle discriminazioni menzionate all’articolo 2 e senza restrizioni irragionevoli: (a) di partecipare alla direzione degli affari pubblici, personalmente o attraverso rappresentanti liberamente scelti”.
Il Comitato ha altresì raccomandato all’Italia di rivedere la normativa statale sugli istituti di partecipazione popolare, al fine di garantire che non siano previste restrizioni sconsiderate alla partecipazione dei cittadini. In particolare ha suggerito all’Italia di rendere agevole per i promotori dei referendum l’autenticazione delle firme e quindi consentire la raccolta elettronica delle firme e la raccolta delle firme in luoghi dove sia possibile raggiungere i cittadini e di assicurare che la popolazione sia adeguatamente informata sulle iniziative e sulle possibilità di partecipazione.
Il Comitato ha infine sottolineato che ulteriori strumenti di democrazia diretta possono essere presenti anche a livello regionale e locale. A tale riguardo, affinché si abbia una piena attuazione dei rimedi volti a tutelare il diritto effettivo al referendum così come auspicato dal Comitato, è pacifico ritenere che, laddove vi siano degli strumenti referendari che dispongano le stesse o analoghe misure di autenticazione delle sottoscrizioni di quelle statali, com’è per esempio nel caso delle Regioni o delle Province Autonome, sia necessario che anche queste vengano adeguate alle Osservazioni del Comitato.
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Illustrazione articolato
L’articolo 1 si accompagna ai progetti di modifica dello Statuto di autonomia 1/XVI (Integrazione del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino – Alto Adige), in materia di tributi locali ed impiego dei trasferimenti di fondi statali per il finanziamento di politiche delle autonomie locali) e 2/XVI (Integrazione del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino – Alto Adige), in materia di partecipazione popolare e politiche fiscali delle autonomie locali). Le tre proposte in combinato disposto, rappresentano i pilastri normativi per introdurre i principi del federalismo fiscale nell’ordinamento giuridico provinciale consentendo di promuovere referendum per intervenire sulla legislazione dei tributi di competenza provinciale e locale estendendo dunque l’ambito di applicazione dello strumento referendario tramite la rimozione dei limiti di materia nel campo fiscale.
L’articolo 2 rimuove il quorum di partecipazione per la validità dei referendum popolari al fine di recepire le raccomandazioni della Commissione per la democrazia attraverso il diritto espresse nel parere 797/2014 e le indicazioni contenute nel Codice di buona condotta sui referendum approvato dalla Commissione di Venezia con il parere favorevole del Congresso dei Poteri Locali e Regionali (CLRAE) nel quale anche la Provincia autonoma di Trento è rappresentata.
L’articolo 3 introduce degli elementi aggiuntivi rispetto alla novella approvata con la legge provinciale 18 ottobre 2019, n. 8 con cui è stata prevista la commissione permanente per il referendum. Il fine perseguito dall’articolo è di assicurare una maggiore conformità delle procedure di nomina della commissione ai principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione sanciti dall’articolo 97 della Costituzione.
L’articolo 4 definisce con maggiore dettaglio la natura e la forma che deve assumere la richiesta di referendum propositivo. La disposizione prevede la possibilità allegare alla relazione accompagnatoria dell’iniziativa referendaria uno schema di disegno di legge, una proposta di atto amministrativo o un atto d’indirizzo politico, che in tal caso sono oggetto del quesito.
L’articolo 5 disciplina le procedure di pubblicizzazione delle iniziative di raccolta delle firme e introduce la possibilità di raccogliere le dichiarazioni di sostegno alle proposte referendarie su supporto digitale e per via telematica. Pone altresì i presupposti normativi per uniformare le procedure di raccolta delle firme per le iniziative provinciali a quelle statali e del diritto unionale. Uniforma infine i tempi di raccolta delle firme ai termini previsti nella normativa statale e in quella regionale relativa ai referendum degli enti locali.
L’articolo 6 mira a semplificare le procedure di richiesta e concessione dell’uso di spazi pubblici e commerciali per poter esercitare il diritto a promuovere referendum come avviene normalmente nelle altre democrazie occidentali.
L’articolo 7 semplifica le procedure per la richiesta, il rilascio e la consegna dei certificati elettorali al fine di alleggerire il carico degli adempimenti burocratici a carico della pubblica amministrazione e del comitato promotore.
L’articolo 8 rende facoltativa l’autenticazione delle firme consentendo così di uniformare la procedura di raccolta delle firme a quella disciplinata dal diritto unionale per l’Iniziativa dei Cittadini Europei e allineare la normativa provinciale alle considerazioni del Comitato dei Diritti Umani dell’ONU che ha ritenuto l’obbligo di raccogliere le firme in presenza di funzionari pubblici o rappresentanti eletti una restrizione irragionevole dei diritti sanciti dal Patto Internazionale sui diritti civili e politici (PIDCP)
L’articolo 9 disciplina la procedura per la trattazione del quesito del referendum propositivo prevedendo la possibilità di elaborare quella che nella Confederazione elvetica viene denominata “controproposta” ovvero un disegno di legge o una proposta di atto amministrativo articolato dalla Giunta e discusso dal Consiglio provinciale congiuntamente con i proponenti del quesito referendario per accogliere e riformulare integralmente o in parte la proposta referendaria originaria. L’articolo disciplina anche la procedura di voto qualora la controproposta non riceva il parere favorevole del comitato promotore, prevedendo la possibilità di sottoporre al voto popolare la proposta elaborata dalla Giunta e approvata dal Consiglio provinciale e la proposta originaria del comitato.
L’articolo 10 introduce il libretto informativo sulla consultazione referendaria prendendo a riferimento il modello utilizzato nei referendum della Provincia autonoma di Bolzano, di vari Stati degli USA, della Svizzera a tutti i livelli di governo e degli enti locali della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol. Mira altresì a conformare la legislazione provinciale alle raccomandazioni della Commissione di Venezia.
L’articolo 11 aggiorna l’articolo 16 “Attuazione del referendum” in funzione della novella inserita dall’articolo 9 del presente disegno di legge.
L’articolo 12 descrive le modalità di interazione dei rappresentanti del comitato promotore nell’ambito dei lavori consiliari. L’articolo adegua altresì il quorum previsto per la consultazione referendaria indetta in caso di mancata trattazione entro i termini di legge dei disegni di legge di iniziativa popolare.
L’articolo 13 definisce i livelli minimi di trasparenza sulle modalità di conduzione dei lavori e sulla pubblicazione degli atti prodotti dalle commissioni consiliari nella trattazione dei progetti di legge di iniziativa popolare e delle richieste referendarie.
L’articolo 14 disciplina la procedura del voto per corrispondenza sul modello elvetico e di altre democrazie occidentali nel rispetto delle raccomandazioni della Commissione di Venezia. L’articolo ha altresì il proposito di recepire le indicazioni contenute nella risoluzione n. 2015/2035(INL) dell’11 novembre 2015 sulla Riforma della legge elettorale dell’Unione europea, con cui il Parlamento europeo incoraggia gli Stati membri ad autorizzare il voto per corrispondenza, elettronico e via internet, al fine di aumentare la partecipazione di tutti i cittadini e tutte le cittadine e facilitare loro il voto.
L’articolo 15 definisce un quadro normativo per dare piena legittimazione al rinvio delle consultazioni referendarie che si sarebbe dovuta svolgere nella primavera del 2021 in una data compresa fra il 1° febbraio e il 31 maggio.
L’articolo 16 provvede a mettere a disposizione le somme per lo svolgimento delle consultazioni referendarie ai sensi della legge provinciale tenendo in conto i risparmi determinati dall’introduzione del voto per corrispondenza con il presente disegno di legge.
Alex Marini
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