Caro direttore,
Non posso purtroppo dirmi sorpreso dalla visione che emerge dalla risposta di Pombeni (vedi immagine di seguito) alla mia recente lettera sul popolarismo di Degasperi e degli altri esponenti politici dell’epoca. Nel corso degli anni ho imparato a conoscere Pombeni dai suoi scritti e la visione che ne scaturisce riguardo a democrazia e popolo. Va riconosciuto che essa mantiene sempre una coerenza cristallina, inscalfibile e granitica com’è nella sua chiusura a punti di vista differenti dal proprio. In questo senso lo ringrazio. Le sue parole hanno infatti il pregio di evidenziare tutta una serie di storture che risultano sempre più intollerabili alla sensibilità contemporanea (ammetto però che la sua visione avrebbe fatto furore nel 1861 o giù di lì).
Vediamo: Pombeni apre facendo sapere di saperla sicuramente più lunga di me perché lui è stato direttore di un’edizione critica degli scritti degasperiani. Io cito un discorso di Degasperi (ma anche di Sturzo e Mortati), dove egli dice una serie di cose molto chiare sulla democrazia e sul ruolo del popolo e Pombeni risponde che lui è un Auctoritas sul tema. Il richiamo aristotelico è evidente con tutto quello che implica in termini di “scientificità” (parafrasando don Abbondio… “Galileo? Chi era costui”). Dando per buona la sua “autorità” se ne evince che Pombeni avrebbe potuto rispondere nel merito ma preferisce non degnarsi di farlo. In alternativa si potrebbe pensare che di fronte ad una constatazione puntuale preferisca il ricorso alla strategia del marchese del Grillo (“io so io e vo’…”), in ogni caso una bella dimostrazione di apertura mentale.
Bene poi che Pombeni, bontà sua, riconosca la “profonda fede democratica” di Degasperi, bene persino che sottolinei come l’ascesa dei fascismi abbia probabilmente segnato lo statista trentino. Male che Pombeni non faccia un passetto in più e non prenda spunto dall’esperienza degasperiana per una riflessione più di ampio respiro. Ai tempi della marcia su Roma Mussolini non godeva del supporto popolare per affermare una dittatura. Gli riuscì perché l’elite liberale dell’epoca, spaventata dai “rossi”, gli spalancò le porte del potere. Una volta insediatosi si fece “duce” ed ottenne vastissimo consenso che utilizzò per eliminare gli spazi di democrazia. Diverso il discorso con Hitler, che salì al potere democraticamente grazie agli elettori sfiancati dalla perdurante crisi economica germanica seguita alle clausole vessatorie imposte ai tedeschi dopo la fine della prima guerra mondiale e dagli effetti della crisi del ’29. Anche nel caso di Hitler però era fin da subito chiaro chi fosse e cosa volesse. Le élite tedesche scelsero di non opporglisi, ed anzi collaborarono con lui alla soppressione della democrazia e all’istituzione di un’ “Economia di Guerra” con tutto ciò che ne conseguì. Dai due esempi si potrebbe dunque dedurre che le élite dell’epoca non furono particolarmente assennate nelle loro scelte, tutte preoccupate di non perdere i propri privilegi cooptando la nuova classe dirigente, cosa che gli riuscì benissimo, ma questo Pombeni preferisce ignorarlo. Quel che diciamo noi è che se il popolo sta male bisogna cercare di migliorarne la condizione e non ignorarlo e trattarlo come una massa di decerebrati bisognosi di un “buon pastore”, altrimenti visto che il “pastore” li prepara per il macello finiscono per volerlo cambiare invece di farne a meno. Quando si parla di democrazia diretta e di ampliamento degli istituti di partecipazione si vuole proprio cercare di scongiurare certe derive, diffondere la capacità di scelta non concentrarla.
Interessante poi notare il distacco logico di cui da ampia prova Pombeni. Si propone più democrazia, più possibilità per i cittadini per controllare il potere, un sistema diffuso di partecipazione reale alla vita pubblica e quindi per preservare e rafforzare gli istituti democratici, cioè esattamente il contrario . Egli pare invece capire che si stiano mettendo le basi per instaurare una dittatura, il ché la dice assai lunga sull’orizzonte culturale “sedimentato” in lui.
(parte non pubblicata sul giornale) Un’ultima annotazione merita la parte finale della lettera di Pombeni. Al di là dell’aspetto retorico dell’ “uomo di paglia” (“straw man argument”) cui Pombeni attinge a piene mani (nessuno ha scritto che lui ricopra ruoli politici, nessuno ha parlato di “mandarlo via”, nessuno ha inteso limitare il suo diritto di critica, che anzi, come quello di ciascun individuo, è sacro), la questione sollevata era che da sempre esistono intellettuali per convenienza contigui al potere. Questa vicinanza garantisce loro dei benefici e al tempo stesso ne rende le opinioni e prese di posizione sospette per evidente “conflitto d’interesse”. La domanda che ci si deve porre è fino a che punto un’opinione o una presa di posizione sia frutto di convinzioni oneste e libere e quanto invece non corrisponda a condizionamenti o ad autocondizionamenti su basi d’interesse personale.
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COMMENTO PUBBLICATO SUL FACEBOOK IL 28 AGOSTO 2018
Oggi il giornale Trentino ha pubblicato la mia replica a Pombeni con riferimento alla discussione su popolarismo e populismo.
Al link che trovate di seguito è disponibile la versione integrale del mio intervento, la quale comprende anche la parte in cui commento l’onestà intellettuale degli accademici vicini ai palazzi del potere e la loro dubbia equidistanza dalla politica. Sono sicuro che il passaggio sia stato tagliato per motivi di spazio, scelta che, devo riconoscere, giudico comprensibile considerato che il direttore aveva già dato ampio risalto alla discussione e che qui voglio ringraziare per l’attenzione accordata.
Voglio tuttavia consentire di leggere il contenuto integrale del mio intervento a chi avesse il desiderio di entrare nel merito della questione. Infatti, al di là della campagna elettorale, mi aspettavo che Pombeni contestasse le citazioni testuali dei leader del popolarismo con il rigore scientifico che dovrebbe caratterizzare un accademico. Si è invece limitato ad affermare che lui è la massima autorità del settore.
Mi occupo di partecipazione popolare da qualche anno. Sentirmi dire che, per il mero fatto di essere un candidato del M5S, non posso godere del diritto ad esprimere un’opinione sulle affermazioni di Degasperi, Sturzo e Mortati in cui auspicavano il coinvolgimento diretto del popolo nelle decisioni pubbliche, mi lascia semplicemente perplesso.