L’incidente di Genova non ci ha insegnato nulla. Le procedure per l’individuazione di logiche e priorità nella pianificazione strategica delle infrastrutture pubbliche dovrebbero svolgersi nella più totale trasparenza mettendo in evidenza gli scopi e le modalità di realizzazione delle medesime. Poi, però, i principi della buona amministrazione non trovano mai applicazione concreta nella realtà quotidiana specialmente quando di mezzo ci sono soldi pubblici e a gestirli consorterie politiche di vecchio stampo. Le opere per lo svuotamento selvaggio del lago d’Idro attraverso la costruzione di un tunnel lungo 1300 m e con un diametro di 7 metri il cui costo complessivo di realizzazione è stato inizialmente stimato in 48 milioni di euro (bando aggiudicato con 36,7% di ribasso) rappresentano un caso scuola.
Nel mese di luglio avevo inoltrato una richiesta di informazioni al Ministero per le Infrastrutture e i Trasporti per chiedere l’accesso ai documenti detenuti dall’amministrazione con riferimento alle opere di regolazione e al progetto per la realizzazione di un nuovo scarico di fondo del lago d’Idro promosso dalla regione Lombardia. In particolare, chiedevo copia dei documenti relativi ultime comunicazioni intercorse tra MIT e regione Lombardia e alle criticità sulla fattibilità del progetto. Come previsto dalle disposizione di legge il Ministero ha girato la richiesta al soggetto controinteressato, Infrastrutture Lombarde Spa. La società in house della regione Lombardia si è però opposta all’accesso chiedendo in subordine il differimento dell’accesso all’emanazione del provvedimento finale sul progetto esecutivo, cioè, i documenti sono disponibili a fornirli al limite DOPO che i giochi si saranno chiusi. Come dire “lasciaci manovrare in pace e poi quando avremo finito ti faremo sapere”. Forse.
L’atteggiamento della Regione Lombardia è a dir poco biasimevole vista la controversia del progetto. Riconoscendo che ci sono in ballo procedimenti giurisdizionali e amministrativi e quindi consistenti criticità sulle opere in oggetto ha deciso di negare l’esercizio del diritto alla trasparenza appellandosi a orpelli regolamentari. Ha così evitato di rendere pubblici documenti che potrebbero accendere i fari sulle improbabili scelte politiche ed amministrative in ordine al progetto. D’altra parte, fin dall’inizio della vicenda, le amministrazioni locali (in primis il comune di Idro) e le associazioni per la salvaguardia del territorio (tra le quali spiccano Amici delle Terra lago d’Idro e valle Sabbia e Legambiente Lombardia) hanno ritenuto l’opera uno spreco di denaro pubblico e una grave minaccia all’equilibro ecologico del lago d’Idro e dell’intera asta del fiume Chiese.
La scusa addotta dalla società di proprietà della Regione per negare l’accesso è che la divulgazione degli atti comporterebbe un pregiudizio agli interessi delle parti in causa, termine col quale pare di capire si intenda in primis il “diritto” degli agricoltori della bassa e delle centrali idroelettriche a prendersi l’acqua senza alcun controllo preventivo. A mancare del tutto però sembra sia la tutela degli ingenti interessi collettivi in ballo, visto che si intende impiegare grandi quantità di denaro pubblico per costruire opere ritenute non necessarie da tutte le persone dotate di buon senso.
Si vuole far passare per messa in sicurezza un enorme meccanismo di prelievo delle acque che andrà pesantemente a incidere sugli equilibri ambientali di un gioiello ambientale a cavallo tra Trentino e Lombardia. Inoltre, quando un cittadino prima che sia troppo tardi vuole vederci chiaro, gli si dice di ripassare a cose fatte. A ben vedere è proprio questo andazzo nella gestione della cosa pubblica che permette tante storture, ed è quindi da qui che bisognerà ripartire con profondi cambiamenti al modo col quale le istituzioni di ogni livello interagiscono col cittadino, dando a quest’ultimo la possibilità di controllare in maniera puntuale la gestione di ciò che è anche suo.
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