Che nelle comunità del distretto del porfido trentino il clima sociale non fosse dei più tranquilli era cosa nota. La stessa Rosy Bindi, presidente della commissione parlamentare antimafia della scorsa legislatura, aveva posto particolare attenzione al settore del porfido ribadendo le criticità già evidenziate negli anni precedenti: “Guai abbassare la guardia, il territorio è ricco ed è un punto di attrazione per chi intende investire, ma bisogna contare sulla capacità di resistere da parte del tessuto civile e sociale per respingere qualsiasi tipo di infiltrazione”.
Tra chi la guardia non l’ha mai abbassata, anzi l’ha alzata molto tempo prima del monito dell’autorevole intervento della presidente Bindi, troviamo Walter Ferrari, uno dei leader carismatici del Comitato Lavoratori Porfido. Sempre al fianco dei lavoratori nella difesa dei loro diritti, non ha mai esitato a denunciare pubblicamente le gravi irregolarità nel sistema di proroga automatica delle concessioni per la coltivazione di cava del porfido, il mancato rispetto dei vincoli occupazionali, le intimidazioni e le violenze rivolte agli operai o gli scempi ambientali che hanno lasciato cicatrici indelebili nel paesaggio dell’Alta Valsugana e della val di Cembra, determinando peraltro ingenti esborsi di risorse pubbliche per il loro ripristino.
L’apertura di un varco nel recinto elettrificato a protezione del gregge di capre di sua proprietà e la conseguente fuga dei capi non è semplicemente classificabile come atto vile e indegno ma solleva inquietanti interrogativi sulle motivazioni che hanno mosso chi l’ha compiuto. Esprimendo piena solidarietà e sostegno a Walter per le ragioni sopra esposte e per tante altre, il mio auspicio è che le pubbliche autorità operino con diligenza per trovare i responsabili del gesto. Girarsi dall’altra parte o sottovalutare la vicenda sarebbe un grave errore. Le autorità devono dimostrare con i fatti che chi ha il coraggio di non abbassare la guardia non rimane solo ma ha il loro pieno appoggio.
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