A proposito di corruzione: il mio intervento pubblicato su Questo Trentino il 4 maggio scorso

Gli strumenti investigativi e giudiziari non possono da soli essere sufficienti, bisogna lavorare sulla prevenzione e alimentare il senso civico e la partecipazione di tutti alla gestione della cosa pubblica

* intervento pubblicato su Questo Trentino – 4 maggio 2019

I dati macroeconomici dimostrano quanto il sistema Italia sia inefficiente e meno competitivo rispetto ad altre realtà europee e mondiali.

Ad incidere su questo risultato ci sono numerosi fattori, ad esempio, posizionamento geopolitico del Paese, debolezza finanziaria, invecchiamento della popolazione, scarsità di risorse prime proprie. Fra tutti però quello della corruzione rappresenta indubbiamente il freno più forte allo sviluppo economico e sociale del Paese, con risvolti e ramificazioni diffuse in ogni ambito, si pensi alla salvaguardia ambientale e alla salute pubblica minacciate dall’azione delle ecomafie.

La corruzione rappresenta un costo occulto aggregato nelle pieghe di ogni voce dei bilanci pubblici, che è stimato in decine di miliardi. Di fatto l’entità precisa del costo della corruzione in Italia non è conosciuto con precisione. Spesso si parla di 60 miliardi di euro all’anno, ma come ben precisato in un articolo del 2015 di Elena Ciccarello su Il Fatto Quotidiano , in realtà questo numero deriva da una serie di calcoli assai approssimativi. Come spiegava il professore di Scienza Politica di Pisa Alberto Vannucci infatti, la cifra potrebbe essere molto più elevata, basti pensare che secondo i calcoli della Corte dei Conti, la corruzione nazionale causa spese superiori del 40% rispetto al prezzo di mercato di opere, forniture e servizi pubblici dello Stato. Sempre riguardo al tentativo di stabilire il “valore” della corruzione in Italia, nel 2018 Federica Bianchi su l’Espresso lo quantificava addirittura in 230 miliardi l’anno.

Al di là di numeri e stime, che in Italia il problema corruzione esista e sia diffuso è palese, e naturalmente ciò reca con sé conseguenze gravi da un punto di vista economico. Secondo il professore di economia all’Università di Bologna Lucio Picci se in Italia ci fosse lo stesso livello di corruzione misurato in Germania, il reddito annuale degli italiani sarebbe più alto di quasi 10 mila Euro. Oltre al valore economico va considerato però anche l’indice di percezione della corruzione. Le indagine di Transparency International posizionano l’Italia sempre in posizioni tra le peggiori d’Europa. Nel 2018 ci mettevano al 53esimo posto nel mondo con un punteggio di 52 punti su 100.

In un contesto simile, il caso della tangente di 30mila euro che sarebbe andata (o sarebbe stata promessa) al senatore e sottosegretario della Lega, Armando Siri, oggi difeso a spada tratta da Matteo Salvini, rappresenta solo l’ultimo episodio di una storia che si sviluppa senza soluzione di continuità da ben prima degli anni di Tangentopoli. Il fatto in sé potrebbe forse essere letto come spia di un fenomeno diffuso in modo capillare e, a parere di molti addetti ai lavori, endemico.

Al sud Italia l’effetto della corruzione si traduce in un maggior costo medio di infrastrutture, opere e servizi erogati sul territorio. Al nord si sostanzia una gran quantità di opere pubbliche palesemente inutili o addirittura pensate in chiave speculativa. Da un lato ci sono gli eterni cantieri della Salerno-Reggio Calabria, impossibile da completare perché utilizzata dal tessuto criminale e dalle sue terminazioni politiche come inesauribile miniera d’oro, dalla quale cavare denaro pubblico in maniera continuativa. Dall’altro abbiamo il Mose oppure l’autostrada BreBeMi, opere completate ma di fatto inutili o addirittura dannose, realizzate promettendo miracoli, come prevedibile tradottisi in veri e propri buchi neri a danno dei contribuenti. Non paghi di questi disastri, coloro che traggono vantaggio da questo sistema continuano imperterriti a riproporre lo stesso schema e la retorica falsa e insopportabile delle Grandi Opere come volano per l’economia, su tutti il TAV Torino – Lione o il favoleggiato prolungamento della Valdastico, non a caso sponsorizzata proprio da chi ha in mano i cordoni della borsa e che dalla realizzazione aspira ad incassare profitti nell’ordine di miliardi di euro.

Nemmeno in Trentino possiamo fingere di essere estranei ad un simile contesto. I rapporti annuali delle locali forze dell’ordine parlano quasi esclusivamente di traffico di sostanze stupefacenti e furti e quasi per nulla dei reati contro la pubblica amministrazione, ma il costo aggregato della corruzione si fa sentire anche in Trentino. Da noi, salvo l’ambito delle grandi opere per i grandi assi ferroviari e stradali, forse non ci sarà l’humus per una corruzione politica accentrata ma di certo c’è quello della cosiddetta corruzione politica decentrata e di quella burocratica, che non si manifestano più solo con giri di mazzette in contanti ma soprattutto attraverso altre forme di scambio, cioè tramite incarichi e consulenze di vario tipo forniti in base a rapporti di reciprocità ufficialmente invisibili ma di fatto reali nelle loro conseguenze, laddove queste attività pagate con denaro pubblico diventano esse stesse merce di scambio secondo la logica del “io do un lavoro a te nel mio Comune, tu ne dai uno a me, o al mio amico, nel tuo”.

Ci sono poi una serie di fatti che non lasciano tranquilli riguardo alla tenuta del sistema Trentino. A titolo di esempio basterà citare il caso, recentemente assurto all’onore delle cronache nazionali grazie ad un articolo del Corriere della Sera di Luigi Ferrarella, del carabiniere braccio destro dell’attuale procuratore capo di Trento Sandro Raimondi da cui tra il 2009-2011 sarebbero state inventate indagini per strapagare 1 milione di consulenze a un imprenditore informatico.

In uno scenario a tinte fosche come questo, gli strumenti investigativi e giudiziari da soli non possono essere sufficienti e porre un freno a fenomeni di corruzione diffusi e forse endemici. La questione è (anche) culturale, e risulta quindi necessario lavorare sulla prevenzione operando negli ambiti più disparati, da quello istituzionale a quello economico fino all’ambito educativo. Vanno alimentati il senso civico e la partecipazione di tutti alla gestione della cosa pubblica attraverso l’introduzione di strumenti innovativi di controllo democratico. Ecco perché i temi della trasparenza, della rotazione delle cariche, della riduzione degli anni di mandato politico, del rafforzamento degli istituti di partecipazione popolare, della separazione dei poteri, dell’incompatibilità ed inconferibilità delle cariche devono essere messi al centro del discorso politico trovando applicazione pratica nell’azione delle istituzioni nazionali, provinciali o comunali che siano. In tal senso le forme della democrazia sono essenziali per riavvicinare il cittadino alle istituzioni e per assicurare quel controllo che è il fattore principale per prevenire la corruzione, come lo è l’affermazione del principio, troppo spesso negato, di premiare e lodare le buone pratiche ed i comportamenti virtuosi, punendo invece con forza quelli negativi e clientelari.

Alex Marini – Consigliere provinciale del M5S

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