Lavoratori dei servizi socio assistenziali: l’esperienza è un valore da non mortificare!

La legge prevede più modi per diventare educatore socio-pedagogico ed educatore socio-sanitario (cioè per ottenere le qualifiche necessarie ad operare nell’ambito dei servizi socio assistenziali). Per entrambe le tipologie di lavoro non conta solo il titolo di studio (cioè la laurea) ma viene anche riconosciuto un valore all’esperienza maturata sul campo. La logica è intuitiva: se lavori da 20 anni nel sociale significa che con ogni probabilità sai svolgere i compiti che ti sono assegnati. Nel caso degli educatori socio-sanitari la legge recita che possono acquisire il titolo anche “coloro che, pur non avendo un titolo specifico, abbiano esercitato la professione di educatore per almeno trentasei mesi nel decennio 2009/2018 e si siano iscritti agli elenchi speciali ad esaurimento istituiti presso l’ordine di riferimento”. Sembra chiaro? Lo è… ma all’apparenza non per tutti. In Trentino infatti il Catalogo dei Servizi Socio Assistenziali inviato ai Consiglieri provinciali non comprende i lavoratori iscritti agli elenchi speciali a asaurimento come figure abilitate a svolgere la professione.

Come mai? Bella domanda. In effetti fra le lauree abilitanti ne vengono previste alcune che non hanno strettamente a che fare con le professioni del sociale mentre l’esperienza maturata in anni di lavoro sul campo viene considerata inutile. La cosa non sta in piedi, né da un punto di vista formale (la legge parla chiaro) e nemmeno da quello fattuale (le nozioni acquisite in teoria devono poi trovare applicazione pratica… conoscere non vuol automaticamente saper fare le cose). Insomma da qualsiasi punto la si guardi questa situazione appare pasticciata. Per questo ho deciso di verificarla presentando un’interrogazione specifica in modo da mettere in chiaro se quanto scritto nel catalogo sia solo un errore oppure se ci sia dietro un disegno più ampio.

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QUI SOTTO IL TESTO DELL’INTERROGAZIONE: 1119/XVI – Sul catalogo dei servizi socio assistenziali inviato ai consiglieri provinciali

La figura dell’educatore professionale negli ultimi anni è stata interessata da interventi normativi nazionali che hanno ridefinito i confini della professione. La legge 27 dicembre 2017 n. 205 “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020” (commi dal 594 al 600) ha infatti distinto due profili:

  • Educatore professionale socio-sanitario;
  • Educatore professionale socio- pedagogico;

il comma 5941 ed il comma 5172 della successiva legge 30 dicembre 2018, n. 145 “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021”, attribuiscono all’educatore socio pedagogico la possibilità di operare nei servizi socio-assistenziali, nei servizi e nei presìdi socio-sanitari e della salute, limitatamente agli aspetti socio-educativi;

per l’educatore socio sanitario il riferimento è rappresentato dal Decreto del Ministero della Sanità 8 ottobre 1998, n. 520 “Regolamento recante norme per l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’educatore professionale, ai sensi dell’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.”, il quale abilita l’esercizio della professione “in strutture e servizi socio-sanitari e socio-educativi pubblici o privati, sul territorio, nelle strutture residenziali e semiresidenziali in regime di dipendenza o libero professionale” (art. 1, comma 4, DM 520/98);

le due figure (educatore socio sanitario ed educatore socio pedagogico) sono abilitate alla professione attraverso distinti percorsi formativi e/o di riconoscimento:

  • possono esercitare la professione di educatore socio pedagogico coloro che abbiano acquisito laurea in L/19 (legge 205/2017 art. 1 comma 595), o, se senza titolo, la qualifica conseguita transitoriamente entro il 31/12/2020 a seguito di minimo tre anni di esperienza e l’effettuazione di 60CFU (legge 205/2017 art. 1 comma 597) o che al 31.12.2017 “abbiano età superiore a cinquant’anni e almeno dieci anni di  servizio, ovvero abbiano almeno venti anni  di  servizio” (legge 205/2017 art. 1, comma 598);
  • possono esercitare la professione di educatore socio sanitario coloro che abbiano acquisito il  diploma di laurea abilitante della  classe  L/SNT2 “Professioni  sanitarie della riabilitazione” e che siano iscritti all’albo della professione sanitaria di educatore professionale, istituito presso l’ordine dei TSRM e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione (Decreto del Ministero della Salute 13 marzo 2018 “Costituzione degli Albi delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione”) e coloro che, pur non avendo un titolo specifico, abbiano esercitato la professione di educatore per almeno trentasei mesi nel decennio 2009/2018 e si siano iscritti agli elenchi speciali ad esaurimento istituiti presso l’ordine di cui sopra (legge 145/2018, art. 1, comma 537);

nonostante la chiarezza della normativa sopra menzionata, accade che nella versione del Catalogo dei Servizi Socio Assistenziali inviata ai Consiglieri provinciali i lavoratori iscritti agli elenchi speciali ad esaurimento non vengano annoverati esplicitamente tra le figure abilitate alla professione;

al di là del mancato riconoscimento di una norma di legge, aspetto da cui, se non si porrà riparo alla cosa, potrebbero scaturire contenziosi, non si comprende quali ragioni motivino una scelta che pare voler escludere dall’esercizio della professione centinaia di lavoratori, ponendo le organizzazioni di appartenenza in una condizione di mancata ottemperanza ai requisiti del Catalogo;

l’istituzione degli elenchi speciali rappresenta una preziosa opportunità per regolarizzare operatori che hanno iniziato a lavorare nel sociale senza un titolo, nonché per rafforzare i requisiti di professionalità delle organizzazioni del Terzo Settore;

a tal proposito non si capisce quale senso possa avere l’adozione di un provvedimento, il Catalogo, che, anziché disconoscere, dovrebbe riconoscere le professionalità operanti nelle organizzazioni trentine;

oltre a ciò, si evidenzia che coloro che sono iscritti all’albo degli educatori professionali o agli elenchi speciali relativi a tale professione hanno seguito un iter specifico di riconoscimento di esperienze e titoli del quale la Provincia dovrebbe semplicemente prendere atto: se l’Ordine, che è un ente di diritto pubblico, iscrive un professionista ad un albo o agli elenchi speciali, quel professionista è formalmente idoneo a svolgere quella professione. Sotto questo profilo, quindi, basterebbe che il Catalogo adottasse un dettato che individui come abilitati all’esercizio della professione di educatore coloro che risultino iscritti all’Albo professionale di riferimento o agli elenchi speciali di riferimento;

un altro aspetto critico del Catalogo è la previsione del requisito della laurea per lo svolgimento di quasi tutti i profili professionali. Salvo che per le figure con un iter formativo specifico (educatore professionale, psicologo, assistente sociale, ecc.) non sussistono vincoli all’introduzione di questo requisito;

questa previsione impatta non solo sulle future assunzioni, aspetto di cui diremo più oltre, ma anche sui destini di quella non esigua componente di lavoratori del sociale (che, lo ricordiamo, sono in maggioranza donne) che, non avendo maturato i requisiti per iscriversi agli elenchi speciali e non disponendo di una laurea, vedono diventare la propria condizione ulteriormente fragile in ragione delle disposizioni del Catalogo (in caso di un contratto a termine non potrebbero più essere riassunti da un’altra organizzazione, in caso di crisi aziendale non avrebbero opportunità di mobilità occupazionale nel sociale, in caso di procedure competitive potrebbero incidere negativamente sui punteggi per la voce legata al personale, …). Al proposito riteniamo che,anziché introdurre previsioni che rendano più precaria la condizione dei lavoratori e delle lavoratrici trentine, si dovrebbero implementare disposizioni che la rafforzino;

a giudicare da come è stato formulato, pare che nella mente degli estensori del Catalogo il possesso di una laurea non connessa a specifiche professioni del sociale corrisponda ad un elemento di qualificazione. Questa supposizione non trova alcuna conferma sul piano fattuale, né appare motivata da vincoli specifici, da ricerche o da sollecitazioni provenienti dagli enti (che, invero, avevano proposto un indirizzo di segno contrario a quello perseguito nella presente versione del Catalogo);

ciò che preoccupa è soprattutto il fatto che attraverso questa previsione anche il sociale, ambito in cui sinora i giovani, diplomati e non, potevano scoprire vocazioni mature e coltivarle trovando un’occupazione (è stato così per buona parte delle persone che operano oggi nei servizi), con questo provvedimento invece, diventa uno spazio occupazionale più rigido in termini di accesso e quindi fortemente limitante e limitato;

ciò alla luce del fatto che il conseguimento del titolo nell’ambito delle professioni di cui si sta parlando, non solo non risulta essere elemento necessario e sufficiente per svolgere il proprio lavoro con professionalità e competenza, ma soprattutto, se considerato come fattore primo ed imprescindibile, è sicuramente limitativo e in alcuni casi dannoso;

non secondaria appare anche la considerazione che in un momento come quello che stiamo attraversando oggi di grave disoccupazione giovanile, dal quale sicuramente anche il Trentino non può ritenersi escluso (basta confrontarsi con l’Alto Adige), vengano formulati dispositivi come il catalogo che restringono ulteriormente il campo di opportunità per giovani con profili formativi non avanzati, una decisione che non fa altro che inasprire la situazione;

in quanto dotati di autonomia, possediamo ampi margini di mobilità rispetto alle indicazioni normative nazionali e questo dovrebbe rappresentare un valore aggiunto per la direzione che si vuole imprimere alle nostre politiche occupazionali, soprattutto quelle rivolte ai più giovani. Solo con una visione che sia inclusiva, ampia, ma allo stesso tempo attenta, si può aspirare a risollevare il nostro sviluppo futuro e con esso la natalità (la disponibilità di un lavoro sicuro e adeguatamente remunerato è un fattore decisivo per mettere su famiglia); 

Tutto ciò premesso, si interroga il Presidente della Provincia per sapere

per quali motivazioni la versione del Catalogo dei Servizi Socio Assistenziali inviata ai Consiglieri provinciali non annoveri esplicitamente tra le figure abilitate alla professione i lavoratori iscritti agli elenchi speciali ad esaurimento e se si possa porre rimedio formulando una nuova versione del Catalogo;

per quale ragione non si sia optato per la definizione di un requisito che, come da previsione normativa, attribuisca all’Ordine di riferimento il compito e la responsabilità di riconoscere la titolarità all’esercizio della professione, limitando quindi il ruolo della Provincia al riconoscimento di quanto già vagliato dall’Ordine;

per quale ragione nel Catalogo sia stato previsto il requisito del possesso di una laurea per quasi tutti i profili occupazionali;

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