Meglio un castello da ammirare o un Cohousing da vivere?

di Cinzia Boniatti

Il 18 novembre 2021 abbiamo appreso dalla stampa locale che la Provincia Autonoma di Trento vorrebbe acquisire Castel Valer, in Val di Non, vendendo al contempo agli eredi del conte Ulrico Spaur cinque immobili di proprietà della Provincia non più utili ai fini istituzionali, e conguagliando il restante valore in denaro (circa 4 milioni e mezzo di euro). L’intero complesso consta di corpi di servizio, terreni attorno al castello, beni mobili, stimati in oltre 15 milioni e mezzo di euro di valore. A fronte di tale valore la Provincia ha individuato gli immobili da alienare dopo alcuni tentativi di vendita in passato non andati a buon fine per i singoli edifici.

Nello specifico si tratta dell’ex-casello idraulico di San Michele all’Adige, l’edificio ex-Enpas di via Petrarca a Trento, l’ex-albergo Panorama di Sardagna, l’ex-casa di cura Villa Rosa di Vigalzano, a Pergine Valsugana e l’ex-scuola professionale del Tonale, nel comune di Vermiglio, stimati complessivamente in oltre 10,1 milioni di euro.

La domanda che sorge spontanea e che vorremmo rivolgere ai rappresentanti della politica provinciale è la seguente: “perché una quantità ingente di denaro pubblico potrebbe essere spesa per l’acquisto, da un privato, di un bene senz’altro di grande valore storico ma che, per l’appunto, potrebbe venir valorizzato in ambito privato, mentre, la richiesta alla Giunta Provinciale di mettere a disposizione un immobile pubblico per valorizzarlo nell’ambito di un progetto di innovazione sociale pubblico-privato qual’è l’abitare collaborativo in Cohousing, si è arenata dopo alcuni incontri informali?”.

Analogo appello si potrebbe rivolgere ai responsabili della politica comunale, visto che i tentativi effettuati con la Giunta Comunale di Trento per rendere operativo un progetto di cohousing hanno portato alla scrittura di una brillante delibera, approvata all’unanimità già nel 2016… cui poi non ha fatto seguito la realizzazione di alcuno degli impegni sottoscritti (vedasi <http://www.cohousingtrentino.it/projects/>).

Si fatica a capire la ragione di tanta ritrosia. I progetti di abitare collaborativo sono uno strumento al servizio di numerosi soggetti: degli attori pubblici locali per definire politiche vicine ai cittadini; dei soggetti pubblico-privati che possono avvalersene per incanalare bandi e progetti di sviluppo locale; degli enti privati, quali ad esempio le fondazioni locali, per aderire alla loro mission di supporto alle progettualità della società civile.

Il Co-housing fa anche l’interesse delle persone residenti sul territorio, giovani o anziane, che possono trovare sostegno per impostare un nuovo futuro in un contesto conosciuto, invece di vedersi costrette a migrare all’estero o ad affrontare un futuro di solitudine e/o ricovero in casa di riposo.

Questo senza dimenticare tutti i risparmi in assistenza socio-sanitaria che si possono ottenere attivando comunità intenzionali che desiderano abitare in un Co-housing, un Co-living o in un Eco-villaggio. 

Perché si continua solo a pensare di generare business tramite la vendita di beni pubblici mentre il benessere delle persone e delle comunità potrebbe coincidere con la sobrietà e nuovi stili di vita salubri e solidali?

Forse, in un mondo globalizzato, ancora spaventano le parole inglesi come smart-working e cohousing [1]?

Forse essere innovativi ed intercettare nuove frontiere per migliorare la qualità della vita dei trentini non è fra le priorità della politica provinciale?

È strano, perché ovunque in Italia e spesso all’estero, progetti sani (e non speculativi) di conciliazione vita-lavoro ben si intrecciano con le politiche inserite nell’ Agenda 2030 per la sostenibilità ambientale e sono già ampiamente e stabilmente estese alle politiche abitative, sociali, ambientale, energetiche e lavorative.

In Trentino, da sempre considerato ai vertici della qualità della vita, stiamo ancora attendendo che la Provincia Autonoma di Trento compia il primo timido passo verso l’introduzione dell’abitare collaborativo e di nuovi modelli abitativi di Cohousing intergenerazionali per anziani, per giovani, per single e famiglie.

Prima di alienare fette di patrimonio pubblico e spendere denaro dei contribuenti in ambiziosi disegni con una ipotetica ricaduta indiretta sui cittadini, si vadano ad attuare passi concreti verso la sperimentazione di progetti socialmente utili ad alto impatto diretto sulla qualità di vita delle comunità trentine. Come? Ad esempio:

  1. definendo i requisiti e le condizioni di accesso agli alloggi adibiti a cohousing già introdotti dall’emendamento alla L.P. 15/2005 in materia di politica provinciale della casa (presentato dal Consigliere Alex Marini con la legge di stabilità 2020)
  2. selezionando quali tra gli immobili disponibili siano i più pronti e idonei ad un progetto di abitare collaborativo;
  3. supportare la “comunità intenzionale ” attraverso procedure amministrative semplificate (sul modello dello sportello unico), specie per l’accesso a finanziamenti vantaggiosi nonché accompagnare l’insediamento con la messa a disposizione di idonei percorsi formativi e di servizi atti a facilitare lo stabilirsi della coabitazione [2]

[1] Cfr: L. HINNA, “Smart Working: come trasformare una caduta in un un tuffo. Punti di attenzione in ambito pubblico”, Universitas Mercatorum Press, 2021. Capitolo 11 – “smart working, age management e nuovi modelli di conciliazione vita-lavoro” a cura della dott.ssa Cinzia Boniatti.

[2] ulteriori precise informazioni e indicazioni si possono trovare visitando il sito web sviluppato volontariamente e gratuitamente da una comunità trentina di studiosi: <http://www.cohousingtrentino.it>.

* * * * *

Segue immagine dell’emendamento 9.1 all’articolo 22 della Legge di Stabilità provinciale 2020 presentato in data 17 dicembre 2019

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