Immunità parlamentare: da scudo democratico a licenza d’insulto

L’articolo pubblicato ieri sul Fatto Quotidiano, a firma di Lorenzo Giarelli e Ilaria Proietti, potrebbe sembrare il copione di una distopia grottesca. Purtroppo, non si tratta di una provocazione letteraria, ma di una fotografia nitida del degrado morale e istituzionale in cui versa oggi la nostra classe politica.

Al centro del pezzo, emblematicamente intitolato Onorevoli, licenza d’insulto. Tanto l’immunità salva tutti, vi è l’uso distorto dell’insindacabilità parlamentare, una prerogativa sacrosanta pensata dai Padri costituenti per tutelare la libertà di espressione dei rappresentanti del popolo nel pieno esercizio delle loro funzioni. Dopo il ventennio fascista, si comprese quanto fosse necessario proteggere chi dissentiva, chi denunciava, chi si esponeva.

Tuttavia, quella garanzia si è trasformata – nel tempo e con il silenzioso consenso dei più – in un salvacondotto per l’arroganza e la diffamazione, una copertura per chi trasforma la propria funzione in un pulpito per insultare, calunniare e delegittimare chiunque osi mettere in discussione i suoi privilegi. Il caso di Matteo Renzi, che accusa falsamente una magistrata nel suo libro Il Mostro, o di Maurizio Gasparri, che collega un procuratore a un pregiudicato di mafia, sono solo gli ultimi esempi. Anche quando le dichiarazioni sono false e infamanti, il Parlamento – con una sistematicità inquietante – le considera “opinioni politiche”, e quindi insindacabili.

So bene di cosa si sta parlando. Sono stato anch’io vittima di un uso distorto di questa prerogativa. Anni fa, dopo aver criticato in perfetta solitudine la nomina di Vittorio Sgarbi alla presidenza del Mart di Rovereto, ricevetti da lui una lunga serie di insulti pubblici con il favore della maggioranza politica che allora ed oggi comanda in Provincia di Trento. La Camera dei Deputati ha ritenuto che queste offese fossero opinioni funzionali all’esercizio del mandato parlamentare.

Ancora più grave è stato il comportamento delle istituzioni locali e di una parte della stampa trentina. Il Consiglio provinciale di Trento di cui facevo parte nella scorsa legislatura, nonostante il mio atto fosse un legittimo esercizio del mandato consiliare in difesa dell’interesse pubblico, non ha mai ritenuto opportuno difendere la mia dignità o prendere posizione contro le aggressioni verbali di Sgarbi. I media locali, dal canto loro, hanno trattato la vicenda con superficialità, offrendo in via sistematica più spazio alla versione di Sgarbi e spesso ignorando gli esiti giudiziari a mio favore.

Il punto è che l’insindacabilità e l’immunità parlamentare non dovrebbero essere strumenti di impunità, né tantomeno servire a ribadire un rapporto di dominio tra una “casta” intoccabile e i cittadini comuni. Originariamente, l’articolo 68 della Costituzione era chiaro: si voleva evitare che i parlamentari finissero sotto accusa per le loro opinioni espresse nell’ambito delle Camere. La riforma del 1993 ha apportato delle modifiche all’art.68 ma ha mantenuto il principio dell’insindacabilità per i soli atti funzionali al mandato.

Tuttavia, la giurisprudenza successiva – pur tentando di delimitare l’ambito attraverso il concetto di “nesso funzionale” – non ha fermato una tendenza ormai dilagante: quella di far rientrare qualunque esternazione, anche gravemente offensiva o diffamatoria, nel perimetro dell’azione politica.

La verità è che l’abuso delle prerogative parlamentari si è trasformato in uno strumento di sopraffazione, che mortifica la democrazia e umilia le persone comuni. Il Parlamento, che dovrebbe essere la sede più alta del confronto civile, si trasforma così in uno spazio di impunità autoreferenziale.

Per fortuna, esiste ancora una stampa libera che ha il coraggio di raccontare i fatti. Ma non basta. È necessario riaprire un dibattito pubblico serio sull’equilibrio tra tutela della funzione parlamentare e responsabilità individuale. Non per smantellare l’articolo 68, ma per riportarlo allo spirito originario: proteggere la democrazia, non chi se ne serve per insultare e diffamare.

La dignità delle istituzioni non si difende con il silenzio, ma con la verità.

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