I distrastri causati dall’alluvione del 29 ottobre sono l’ennesimo segnale dell’inesorabilità dei cambiamenti climatici. Oltre che varare misure per portare a zero entro il 2050 il bilancio netto tra le emissioni di gas serra causate dall’uomo e quelle assorbite dall’ecosistema, è necessario fin da subito adottare ogni misura possibile per contenere i rischi idrogeologici sul territorio provinciale.
Come già sottolineato nel mio intervento in aula l’11 dicembre scorso riguardo alla relazione programmatica del presidente della Provincia, il rapporto degli esperti climatici delle Nazioni Unite (IPCC – The Intergovernmental Panel on Climate Change) ci ricorda che dal 1850 ad oggi (periodo in cui è finita l’era preindustriale) la temperatura terrestre è aumentata di 1°C e che l’incremento andrebbe limitato a gradi 1,5° entro il 2050 anziché a 2°. Per capirci: si tratta di un rapporto tanto allarmante quanto scientificamente rigoroso, le cui conclusioni derivano da migliaia di studi (6000) scritti da decine di migliaia di ricercatori (24,000), e che può vantare decine di autori (91). Tutte queste persone ci stanno dicendo una cosa molto semplice. O cambiamo modo di comportarci e in fretta o sarà un disastro.
Osservando le conseguenze del surriscaldamento globale per gli ecosistemi più tipici della nostra realtà, le Alpi subiranno effetti doppi per effetto della loro conformazione orografica in termini di canicole e precipitazioni estive. Abbiamo iniziato a sperimentarne gli effetti e ancora, temo, ne vedremo sottoforma di fenomeni devastanti. Del resto gli ultimi eventi estremi su scala globale ci riportano la stessa testimonianza (incendio in California, siccità a Città del Capo in Sudafrica, alluvioni in serie di cui è difficile tenere il conto, ondata di calore di inizio agosto 2003 in Europa che solo in Francia causò 15,000 morti e aumentò dell’eccesso di mortalità del 55% dal 1° al 20 agosto).
A fronte di tutto questo e sulla base delle evidenze scientifiche che abbiamo (ma che spesso preferiamo ignorare) ho ritenuto doveroso presentare un’interrogazione provinciale per richiamare all’attenzione la crucialità del ruolo pubblico svolto dal Servizio Bacini Montani per la programmazione e la realizzazione degli interventi di sistemazione idraulica ed idraulico-forestale.
Il Servizio Bacini Montani è una struttura deputata alla difesa del territorio che opera sulla base di tre direttive: garantire la sicurezza della popolazione, proteggere l’ambiente e contenere i costi d’intervento. Se i danni in Trentino sono stati tutto sommato ridotti rispetto ad altre aree montane (pensiamo ad esempio al bellunese) è in buona parte merito proprio del Servizio Bacini Montani. Purtroppo, però, le prospettive future di questo fondamentale strumento non paiono rosee, soprattutto in termini di personale assegnato, che è ormai ridotto e calante. Forse dal nubifragio di fine ottobre potrebbe nascere qualcosa di buono, qualora la consapevolezza da esso generata si tramutasse in un’occasione per pensare ad un irrobustimento della struttura deputata alla prevenzione del rischio idrogeologico.
Nell’interrogazione (106/XVI – Ridefinizione dell’assetto del servizio bacini montani) abbiamo chiesto alla Giunta se, in considerazione dei fattori di rischio crescenti in relazione al cambiamento climatico, intenda fare una valutazione sull’assetto istituzionale e organizzativo del Servizio procedendo alla predisposizione di un piano finalizzato al potenziamento della pianta organica nonché alla sostituzione programmata a medio-lungo termine del personale specializzato prossimo alla pensione.
Speriamo che la consapevolezza dei rischi e della necessità, per quanto umanamente possibile, di prevenirli aiuti chi ne ha la responsabilità a prendere decisioni sagge, lungimiranti e soprattutto improcrastinabili.
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