Il ruolo e le funzioni che i Bim potrebbero svolgere in prospettiva di sviluppo sovracomunale delle aree di loro competenza sono numerosi di assoluto rilievo e di alto potenziale. Per arrivarci però è necessario prima superare le criticità che fin qui ne hanno reso l’azione poco efficace, riportando gli enti alla vocazione che era stata immaginata al momento della loro istituzione.
Gli ambiti di intervento sui quali focalizzare la discussione riguardano due aspetti in particolare: l’architettura istituzionale dei Bim e le modalità di impiego delle risorse da essi convogliate. Il dibattito dovrebbe inoltre riguardare le comunità civiche che vogliamo costruire sia sotto il profilo democratico, delle forme di rappresentanza e di partecipazione popolare, che sotto il profilo del modello di sviluppo locale, anche in considerazione delle tendenze globali.
L’intento dei padri costituenti e dei parlamentari della prima e della seconda legislatura fu di prevedere una legislazione a favore delle zone montane mettendo a disposizione i sovracanoni non in una logica spartitoria tra i singoli comuni bensì per lo sviluppo economico e sociale generalizzato delle popolazioni residenti. Per rispondere a questa esigenza di ampio respiro gli equilibri istituzionali andrebbero ristabiliti, a maggior ragione in un periodo storico come quello odierno in cui i confini fra Comuni sono più tenui e sfumati in virtù dei legami familiari, dell’attività di studio, impresa e lavorativa e delle abitudini di svago e intrattenimento che sono ormai tutte di carattere trans-comunale, quando non interregionale o, grazie soprattutto alla diffusione del web e ai sistemi di trasporto, internazionale.
Allo stato attuale i Bim risultano succubi alla logica della lottizzazione tipici della politica locale. Una linea di riforma imprescindibile dovrebbe pertanto riguardare le modalità di elezione dei componenti dell’assemblea e le modalità di partecipazione diretta dei cittadini alla loro gestione. Gli estensori degli attuali statuti, pur preferendo una rappresentanza indipendente dai vincoli localistici e una prospettiva sovracomunale, lasciarono libera scelta ai futuri amministratori prevedendo due opzioni per la nomina, interna o esterna. La scelta, che allora fu di buon senso, ha presto finito col soccombere all’impeto degli interessi clientelari e campanilistici. Per rompere questa consuetudine deleteria l’alternativa percorribile consiste nell’elezione diretta dei rappresentanti dei consorzi da parte dei cittadini residenti sulla base di espliciti programmi di sviluppo e comunque con una cadenza diversa da quella delle amministrazioni comunali prevedendo ad esempio un rinnovo quadriennale. Oltre a una riforma del sistema elettorale si potrebbe pensare a delle forme di partecipazione diretta alle decisioni sul modello svizzero, oppure prendendo spunto dalle agenzie di sviluppo territoriale degli Stati Uniti d’America o dalla gestione dei servizi pubblici dei capoluoghi di provincia ai tempi dell’Italia giolittiana, prima che fosse smantellato per mano dell’autoritarismo fascista.
Un nuovo governo democratico dei consorzi Bim aprirebbe la strada a un modo diverso e alternativo di intendere lo sviluppo sociale ed economico delle zone montane, non più come somma di interessi di piccoli gruppi ma come generatore di iniziative di respiro sovracomunale per determinare vantaggi diffusi sull’intero territorio. Una gestione del potere e delle risorse sulla base di una legittimazione elettorale propria e soggetta al controllo e all’indirizzo popolare diffuso, oltre che di quello delle amministrazioni comunali, potrebbe consentire di svolgere prestazioni e investimenti di interesse pubblico secondo una nuova chiave di lettura, svincolata dai vantaggi che gli amministratori dei singoli comuni cercano di ottenere, ma volta a produrre benefici alle popolazioni residenti intese come collettività del territorio nella sua interezza nel nuovo scenario della sharing economy.
Se questo modello di riforma trovasse applicazione, i consorzi Bim potrebbero promuovere molto più efficacemente lo sviluppo economico e sociale ispirandosi a programmi d’azione nazionali e internazionali (vedi ad esempio Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile) anziché sottostare ai veti dei singoli amministratori comunali. I consorzi potrebbero ideare una propria strategia e stabilire un’agenda di priorità autonoma per il progresso e la tutela delle comunità locali integrando gli interventi già previsti dagli altri enti pubblici oppure occupando spazi lasciati sguarniti dagli stessi.
I potenziali ambiti di intervento per assumere un ruolo di primo piano nel sistema locale sono già definiti dagli attuali statuti per cui vale la pena sottolineare quelli più strategici: digitalizzazione, innovazione industriale, mobilità sostenibile, servizi energetici, tutela dell’acqua bene pubblico, valorizzazione dei servizi ecosistemici e delle economie del bene comune, salvaguardia degli usi, i costumi e le tradizioni locali, promozione culturale, marketing territoriale, etc. In conclusione, se la riforma degli statuti dei Bim verrà realizzata gli amministratori dei consorzi – nel rispetto degli obblighi di trasparenza, del diritto dei cittadini di partecipare agli affari delle collettività locali e sotto il controllo delle amministrazioni comunali – potranno agire in una logica effettivamente multi-partecipativa e con spirito di impresa pubblica per gli investimenti strategici, incentivando la produzione di valore collettivo e la creazione di un contesto di favore per iniziative economiche e sociali nel territorio montano.
Parte prima pubblicata il 12 gennaio 2021
Parte seconda pubblicata il 22 gennaio 2021:


In questa nuova architettura istituzionale, i BIM sarebbero anche i precursori di una più ampia fusione dei comuni, che sembra essere la tendenza del futuro, andando anche ad accelerare la scomparsa delle comunità di valle.