Le dimissioni di Mario Draghi dalla presidenza del Consiglio dei ministri sono la conseguenza dell’impostazione elitaria e socialmente autoreferenziale che ha caratterizzato l’intero arco del suo mandato.
Al di là dei peana di un’informazione in larga parte ridotta al “com’è umano lei” (e pure compiaciuto), Draghi si è dimostrato disinteressato a mettere in pratica un qualsiasi tentativo di valorizzare e di far coesistere le diverse sensibilità politiche e di assicurare il pluralismo delle idee in quello che doveva essere un Governo di unità nazionale (solo a parole evidentemente).
Draghi si è autoincensato per il PIL al 6,6 “dimenticandosi” che quel risultato non era figlio delle decisioni del suo Governo ma l’effetto dei provvedimenti che lui ha osteggiato e messo in condizione di non funzionare, su tutti il Superbonus 110%, una misura elogiata dall’Europa, e dalle associazioni di categoria, che ha dato eccellenti risultati economici, andata in crisi quando il suo Governo ha sabotato il sistema della cessione dei crediti alle banche (che si sa, nel cuore di un vecchio banchiere centrale occupano un posto speciale, anche se quella categoria il cuore lo usa poco…).
Potremmo aggiungere il reddito di cittadinanza, che Draghi ha elogiato a parole ma messo sotto attacco nella pratica, sebbene in base ai dati ISTAT la misura abbia permesso di ridurre di un milione circa il numero delle persone che versavano sotto la soglia di povertà.
Per contraltare la cosiddetta “riforma Cartabia” voluta da Lega, Forza Italia e Italia Viva per smantellare la precedente riforma della Giustizia e garantire l’impunità ai grandi ladri, che Draghi ha accettato senza fiatare contro il M5S e contro l’interesse degli italiani, è stata giudicata disastrosa in sede europea. Strano, perché la riforma Bonafede, voluta dal M5S, era invece stata promossa ed elogiata nella stessa sede (ma si sa… quelli di prima non capivano niente…).
Potremmo continuare all’infinito ma il succo è questo: il Governo Draghi è nato da un intrigo di palazzo per consentire ai soliti, famelici, soggetti nostrani di mettere le mani sul PNRR, soldi che, fra l’altro, erano stati ottenuti nello scetticismo e il tifo contro di gran parte della stampa e dei partiti nazionali, proprio dal presidente del Consiglio scelto dal M5S.
Forse sbagliando, il M5S ha accettato di far parte del Governo Draghi per garantire che ciò che era stato costruito negli anni precedenti non andasse su per il camino. Con onestà bisogna ammettere che in larga parte quest’operazione non è riuscita, anzi, il Movimento ha subito una dolorosa scissione, frutto dell’ennesima congiura che nelle intenzioni avrebbe dovuto garantire la sopravvivenza di Draghi e del draghismo. Nella pratica questo però ha liberato il M5S, mettendolo in condizione di far sentire la propria voce senza mediatori interessati. Per capirci, inviare pubblicamente a Draghi i 9 punti presentati dal presidente Conte non sarebbe mai stato possibile senza la scissione messa in atto da coloro che si erano ancorati al Governo. Senza di loro quei punti erano diventati la base affinché il Movimento continuasse, nonostante tutto, a sostenere Draghi. La risposta arrivata ieri in Senato è stata in linea con l’atteggiamento tenuto nell’anno e mezzo precedente: disprezzo, sufficienza e mancate risposte, col sottinteso che dare la fiducia avrebbe significato avallare la gestione sostanzialmente autocratica del potere portata avanti da Draghi sin dalla sua nomina. Un’opzione inaccettabile, giustamente rispedita al mittente dai parlamentari del Movimento, per i quali è stato quindi impossibile votare la fiducia.
Ora il dado è tratto e probabilmente si andrà a nuove elezioni. Non sarà facile, perché i tempi che viviamo sono terribili e le scadenze incombono, ma nel complesso ho fiducia, perché con tutti i suoi difetti il M5S dà ancora voce alle aspirazioni reali di tanti cittadini e tante persone che sognano un’Italia migliore, più libera e più giusta. Al contrario, la gran parte degli altri partiti rappresenta l’interesse di pochi, ricchissimi individui, da sempre impegnati a saccheggiare e ad asservire il Paese. Alla lunga credo che la gente si renderà conto della differenza.
In ogni caso, rispetto ad alcuni mesi fa, si sono create le condizioni per rilanciare il M5S. C’è da lavorare, ma, a differenza di tanti che in vita loro hanno solo fatto i politici di professione, questo non ha mai spaventato noi pentastellati!
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Di Maio, anche se non sarà più sicuramente rieletto, ha detto che tanto lui ha già il lavoro assicurato in Sardegna!