L’antipolitica, i veti e il M5S

Segue il testo originale della lettera inviata al quotidiano L’Adige per dar conto del punto di vista del M5S rispetto alle affermazioni del candidato presidente del centrosinistra trentino a giustificazione della chiusura ad ogni accordo per le prossime elezioni provinciali. Il testo pubblicato è stato modificato su richiesta del quotidiano stesso per motivi di pubblicazione.

Da qualche giorno il candidato presidente del centrosinistra trentino va di giornale in giornale giustificando il rifiuto a prendere in considerazione un’alleanza col M5S utilizzando un argomento piuttosto singolare: “i 5 Stelle sono più orientati al soffio sull’antipolitica che alla fatica della mediazione e del governo” continua a ripetere. Si tratta tuttavia di un’affermazione alquanto discutibile, a meno di non voler equiparare la categoria alquanto fumosa dell’antipolitica col lavoro e l’impegno a perseguire il mandato conferito dai cittadini.

Il primo marzo scorso il M5S trentino avanzava pubblicamente al centro sinistra la proposta di valutare un’alleanza a partire da 6 linee rosse, oltre le quali il M5S non avrebbe potuto spingersi. Semplificando per necessaria brevità: (1) stop, con soldi reali, alla privatizzazione della sanità pubblica in Trentino, (2) incentivi all’economia circolare e e no all’inceneritore, (3) no al prolungamento dell’autostrada Valdastico e introduzione di referendum per le opere di grande impatto, (4) difesa del lavoro, contrasto alla precarizzazione e lotta vera alla burocrazia, (5) investire 250 milioni per l’edilizia abitativa, (6) contrasto assoluto alla criminalità organizzata e alla corruzione. Tutti temi concreti, che riguardano la vita dei trentini e la direzione in cui guidare la nostra Provincia nei prossimi anni. A oltre un mese di distanza, dal centrosinistra non è arrivata una singola risposta nel merito delle questioni sollevate dal M5S. Le uniche informazioni, ricevute per interposta persona, sono state che “i partiti di Renzi e Calenda mettono il veto” e che il candidato presidente del centrosinistra non vuole il M5S perché “fa antipolitica”.

Per quel che riguarda il primo argomento, che il M5S non piaccia a Renzi e a Calenda non è una novità e, francamente, sarebbe stato preoccupante il contrario. Siccome a breve i trentini saranno chiamati alle urne era però obbligatorio valutare se ci potessero essere margini di manovra per un’alleanza basata, non sulla simpatia personale, che in politica non dovrebbe contare, ma su impegni concreti e vincolanti. Il risultato sono stati veti “a prescindere” e nessuna risposta nel merito delle questioni puntuali sollevate, una posizione alla quale si è accodato senza colpo ferire il partito principale del centrosinistra, determinatissimo a riproporre in Trentino lo schema politico delle ultime elezioni nazionali prima che Calenda sbattesse la porta in faccia a Letta. Il problema a ben vedere non è il veto al M5S, quanto piuttosto cosa significhi l’abbraccio a Renzi & Co in termini di scelte politiche. Che posizioni potrà mai avere il cosiddetto centrosinistra rispetto alla lotta alla precarietà, se sta dalla parte di chi ha inventato il jobs act? Che politiche di tutela ambientale si potranno mai sostenere se si sposa chi va matto per gli inceneritori o fino all’altro ieri sosteneva la Valdastico? Con quale credibilità si potrà raccontare di voler invertire la rotta sulla difesa della sanità ma anche sull’acqua pubblica, se si fanno proprie le idee dei fan della privatizzazione selvaggia? Scegliendo Renzi e Calenda il cosiddetto centrosinistra trentino ha di fatto reso palese la propria spiccatissima vocazione di destra, e in effetti, se uno va a verificare, scopre che sulle scelte che influenzano maggiormente la vita delle persone in ambiti chiave come lavoro, ambiente e sanità scopre che, al netto del folklore, non c’è nessunissima differenza fra un Fugatti e un Valduga.

C’è poi la questione dell’“antipolitica”. Si tratta ovviamente di una facile scorciatoia, invocata  per evitare di rispondere nel merito delle questioni, ma volendo intrattenere l’argomento sollevato dal nuovo leader del centrosinistra, bisogna almeno intendersi sui termini. In questa legislatura a livello provinciale il M5S trentino, forza politica di opposizione con un singolo rappresentante in  Consiglio provinciale, primeggia per atti presentati e per proposte licenziate: 94 ordini del giorno approvati (1°), 17 risoluzioni (1°) e 8 mozioni (3°). A livello regionale invece il M5S è per distacco la forza politica più produttiva sia sul fronte dell’iniziativa legislativa che del sindacato ispettivo e degli atti di indirizzo politico. Questo per dire che se con “antipolitica” si intende fare il proprio dovere e lavorare nell’interesse dei cittadini, allora il M5S è sicuramente “antipolitico” ed è pure fiero di esserlo. Bisognerebbe semmai domandarsi che tipo di “politica” sia quella sostenuta da chi lavora poco e male e magari pretende di decidere del lavoro altrui, tagliando i diritti. Se invece con “antipolitica” si  intende la lotta ai privilegi, tipo la decisione di inserire aumenti automatici degli stipendi dei consiglieri provinciali in base all’andamento dell’inflazione, allora ci dispiace, ma siamo ancora “antipolitici”, perché crediamo che la buona politica si faccia guidando con l’esempio. Non si può continuare a chiedere sacrifici ai cittadini i cui stipendi sono al palo da anni proprio grazie alle politiche di destra portate avanti da chi ha guidato il Trentino negli ultimi 15 anni almeno, e al tempo stesso garantire a se stessi aumenti che non si  vuole in alcun modo concedere alle persone in nome delle quali, in teoria, si amministra la cosa pubblica. Discorso simile per quanto riguarda la lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione. La verità è che con la categoria dell’esecranda “antipolitica”, si cerca di occultare e giustificare tutta una serie di comportamenti intrattenuti dalla supposta “classe dirigente” che non hanno cittadinanza in nessun Paese civile.

Per queste persone che ammoniscono pensose sui rischi dell’“antipolitica” il concetto di “politica” sembra ridursi al governo degli ottimati, cioè conventicole di soggetti che ragionano e operano come un’aristocrazia che non vuole e non ritiene di dover rispondere al “popolo” né ad alcun altro potere e che esige trattamenti separati e più benevoli da quelli riservati ai “comuni cittadini” sulla base di un valore che essi si attribuiscono da soli a prescindere dalla realtà fattuale. Non a caso una delle caratteristiche dell’aristocrazia è l’ereditarietà dei ruoli e delle cariche, un aspetto che non manca certo nei vertici della politica trentina e italiana.

Come è facile intuire, si tratta di atteggiamenti assai lontani dagli ideali democratici, che hanno molto poco a che fare col concetto di “politica” e assai con quello di preservazione e presidio del perimetro della casta.

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Versione ridotta inviata a L’Adige e pubblicata il 13 aprile 2014:

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