Avanti (molto) piano. Questo sembra essere il motto del governo provinciale riguardo ai necessari interventi di contrasto alle infiltrazioni ‘ndranghetiste nel tessuto sociale ed economico trentino. Se da un lato infatti la maggioranza ha accolto la richiesta del M5S di valutare di costituirsi parte civile contro i soggetti che con la loro azione criminale avessero cagionato danno al Trentino e alla sua immagine dall’altro ha rifiutato anche solo di prendere in considerazione di far gestire alla Provincia e non più ai Comuni la parte amministrativa e i controlli riguardanti il settore porfido, e questo nonostante i fatti abbiano dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che i Comuni non sono in grado di gestire le complessità giuridiche e gestionali connesse ad un simile sistema.
Nel corso dell’ultima sessione del Consiglio provinciale fra le altre cose il M5S ha presentato anche un Ordine del Giorno che se approvato avrebbe impegnato la giunta a fare 2 cose precise. (1) Predisporre un’analisi preliminare riguardo alle attività minerarie di secondo livello, fra cui l’estrazione del porfido, per portare i processi amministrativi e il controllo delle attività dai Comuni alla Provincia e (2) a valutare se l’operazione Perfido abbia fatto emergere comportamenti criminali tali da danneggiare il Trentino per poter eventualmente procedere con una azione civile nei confronti di queste persone.
Come detto la maggioranza, per tramite dell’assessore Achille Spinelli, ha dato l’ok alla seconda opzione bocciando però le premesse della proposta e la prima opzione del dispositivo. Fra le motivazioni che mi sono state comunicate a voce anche il fatto che i Comuni non gradirebbero di perdere la gestione del porfido. Il fatto è che tutte le evidenze sembrano indicare come i Comuni non siano in grado di occuparsi della gestione amministrativa delle concessioni di estrazione e di vigilare opportunamente sul settore in questione e proprio questo sia stato uno dei fattori principali che hanno permesso alla ‘ndrangheta di prenderne il controllo, arrivando a frequentare anche le stesse aule municipali. A fronte dello scandalo scoppiato in val di Cembra e il danno morale e materiale che esso ha causato, il fatto che i Comuni non vogliano perdere il controllo del porfido non dovrebbe avere rilevanza alcuna. Al contrario, la Provincia dovrebbe dimostrarsi responsabile e mettere mano con gli ampi poteri di cui dispone ad un settore nel quale da anni si è consumato il malaffare più becero, con tanto di pestaggi e intimidazioni. Se è vero quello che mi è stato detto per spiegarmi il rifiuto all’approvazione integrale del mio Ordine del Giorno invece si chiamano i municipi e si chiede ai sindaci cosa vogliono, poi si procede. Ma, a meno di pensar male, un comportamento simile non ha senso alcuno perché sono proprio quegli stessi sindaci che non si sono accorti di quello che stava accadendo sotto i loro nasi!
Siamo dunque solo parzialmente soddisfatti dell’impegno assunto dalla giunta. Bene che si valuti un’azione civile contro chi avesse compiuto atti criminali in Trentino, molto male che si rifiuti a priori di prendere in considerazione un riordino del settore porfido che con ogni evidenza abbisogna ancora di essere riportato alla legalità, legalità che per inciso non si afferma certo garantendo ai soliti noti l’ennesima proroga delle concessioni.
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Proposta di ordine del giorno n. 2/64/XVI del 19 novembre 2020 collegata al disegno di legge n. 64/XVI “Disciplina della ricerca e delle concessioni minerarie e modificazioni della legge provinciale sulle cave 2006”.
Discussa il 4 dicembre 2020:
– bocciate le premesse e il punto 1) del dispositivo
– approvato il punto 2) del dispositivo
“Recenti casi di malaffare e normativa in materia di cave e miniere”
l’operazione delle forze dell’ordine denominata Perfido e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia ha dato corpo a quanto segnalato da anni da comitati civici e di lavoratori, organi e autorità dello Stato, privati cittadini e forze politiche, sia a livello locale che nazionale. La presenza della ‘ndrangheta in Trentino è un fatto accertato. Non solo, la sua penetrazione era, e con ogni probabilità è ancora, pervasiva e stanziale;
quel che oggi appare certo è che la vicenda apertasi con Perfido, non si sia affatto conclusa. Sono infatti attesi pesanti sviluppi dalla giustizia contabile e della giustizia penale in ordine ai connessi varchi corruttivi di cui hanno approfittato la criminalità comune e organizzata per agire nel settore del porfido trentino. A tal riguardo, vedasi ad esempio le dichiarazioni del Procuratore regionale della Corte dei Conti Marcovalerio Pozzato (La Corte dei Conti:“In Trentino odiosi favoritismi che vanno a vantaggio di parenti, amici e sodali degli amministratori” – Il Dolomiti – 01 Aprile 2020);
sotto la voce conflitti d’interesse si raccolgono tutte le criticità amministrative che in questi anni hanno attraversato le vicende delle concessioni estrattive e della filiera del porfido. Una gestione delle concessioni lasciata in mano ai comuni e dove la normativa è stata applicata in maniera diversa anche in relazione agli usi civici: a Baselga di Pinè concessioni comunali gestite dalle ASUC, a Lona Lases gestite dal comune con il placet dell’ASUC (che gestisce pure l’area artigianale dove operavano alcuni degli arrestati nell’operazione di polizia), ad Albiano gestite dal comune, esso stesso gestisce l’uso civico, con il supporto di SO.GE.CA. Invero nell’aprile 2015 l’amministrazione provinciale, nella persona dell’allora Assessore provinciale competente, aveva pubblicamente evidenziato i problemi del settore emersi per la vicenda della Diamant Porfidi di Lases prospettando la necessità di “[…]mettere in capo alla Provincia le cave per garantire regole standard e comportamenti omogenei.” (Olivi:«Un’authority per il porfido» – L’Adige – 4 aprile 2015 – pag. 16 (intervista disponibile anche online));
come si vede, pur essendo le sopracitate problematiche ben note, esse non vennero mai affrontate normativamente, evidenziandosi, per contro, l’inerzia degli apparati pubblici preposti al controllo dell’attività estrattiva nonché dell’indotto (lavorazioni, trasporti, appalti), lasciando in capo alle amministrazioni comunali i controlli, col risultato che, nelle stesse, fossero abbondantemente presenti soggetti palesemente o indirettamente collegati all’attività industriale legata alla filiera del porfido;
nelle amministrazioni comunali di Albiano, Lona – Lases, Fornace e Baselga di Pinè e, in misura minore, di Cembra sono stati presenti e sono presenti, sia negli organi politici comunali che negli apparati amministrativi, soggetti collegati tra loro da legami parentali e da parentele societarie che non sempre emergono negli atti amministrativi con l’esercizio dell’obbligo di astensione dichiarato in occasione dell’adozione di provvedimenti amministrativi: premialità al personale, interferenza nei procedimenti amministrativi con pressioni più o meno dirette, utilizzo di consulenti legali esterni ad adiuvandum, sino alla costituzione di società ad hoc (SO.GE.CA. di Albiano, società interamente pubblica) hanno costituito il substrato per esercitare forme di controllo sui provvedimenti o, nella maggior parte dei casi, l’omissione di controlli obbligatori;
in tale contesto, ha trovato terreno fertile l’attività dei soggetti che risultano indagati nei procedimenti giudiziari menzionati in precedenza con una presenza amministrativa preminente nell’amministrazione di Lona – Lases ma che appare ramificata, per via di parentele societarie, in ognuna delle amministrazioni del cosiddetto distretto del porfido;
se da un lato la citata proposta dell’assessore all’Industria, artigianato e commercio della XV Legislatura è rimasta lettera morta, dal 2015 si è invece intervenuti sulla legge che disciplina l’attività di cava (Legge provinciale 24 ottobre 2006, n. 7) con ulteriori undici aggiornamenti sui complessivi trentacinque a partire dal 2006 e ora con l’ulteriore aggiornamento proposto con il disegno di legge 64/2020. A significare la complessità della legge e la sua applicazione da parte dei comuni è il numero di contenziosi amministrativi avanti al Tribunale Amministrativo Regionale da contarsi sull’apposito sito di Giustizia Amministrativa;
a tal riguardo e a mero titolo di esempio si citano:
- un passaggio burocratico ridondante è all’art. 8 della L.P. 7/2006 laddove è il comune che riceve le domande e le invia alla struttura provinciale competente, che le passa al Comitato cave, per poi restituirle al comune, che modifica il disciplinare (sul modello tipo approvato dalla Giunta provinciale) e restituisce il tutto in copia alle strutture di cui al comma 8;
- all’art. 12 si parla di gara ad evidenza pubblica salvo quanto previsto dai commi 5 e 5 bis. Due deroghe ad un principio cardine di regolarità amministrativa di complessa attuazione ed evidentemente legate a situazioni contingenti per non parlare del comma 5 ter riguardante concessioni mediante trattativa privata;
- l’art. 19 prevede l’avocazione del giacimento su area privata e vi è da chiedersi quante aree private sono inattive e per quante è stato avviato l’iter di avocazione. Ma se queste cave sono intestate a soggetti privati direttamente o indirettamente presenti in amministrazioni comunali appare comprensibile, sebbene non condivisibile, che tale procedimento non venga attivato;
- l’art. 27 rappresenta di fatto una spada di damocle sulle amministrazioni comunali in un contesto normativo in cui la provincia, attraverso il servizio competente, esercita le (sole) funzioni di polizia mineraria;
- l’art. 28 che, per la sua complessità giuridica, richiede competenze forensi assolutamente ingestibili a livello comunale sia in fase istruttoria che nella fase successiva di più che probabili ricorsi amministrativi;
in sostanza con il presente Disegno di Legge in oggetto si interviene ancora una volta con una modifica della Legge provinciale 24 ottobre 2006, n. 7 che, come accennato, dal 2006 oramai registra più di una trentina di modifiche. In conseguenza di ciò, la disciplina del settore è giuridicamente contorta e le modifiche intervenute negli anni sono state dettate dalla necessità di risolvere o sanare situazioni amministrative particolari di qualche concessionario; la disciplina sanzionatoria contenuta nella legge è stata oggetto di modifiche solo dopo interventi giurisdizionali amministrativi o penali;
nella relazione conclusiva del 17 dicembre 2015 recante “Controllo sullo stato di attuazione e valutazione degli effetti della legge provinciale 24 ottobre 2006, n. 7 – Disciplina dell’attività di cava” prodotta dal Tavolo di coordinamento per la valutazione delle leggi provinciali della XV Legislatura è emerso che: “Come confermato ricorrentemente nelle consultazioni – che hanno in particolar modo evidenziato la necessità di un rafforzamento dei controlli e dell’omogenizzazione complessiva dei criteri per l’assegnazione delle concessioni, nonché la carenza del rispetto dei relativi vincoli sui livelli occupazionali – tra le cause della disomogenea applicazione si può indicare l’insufficiente disponibilità di risorse professionali, sia amministrative che tecniche, a disposizione delle singole amministrazioni comunali che imporrebbe di promuovere e favorire la gestione associata unitaria delle funzioni da parte dei comuni anche per agevolare e rendere più incisivo l’esercizio delle attività di verifica sul rispetto degli obblighi dei concessionari”;
e pure che: “Il Distretto del porfido e delle pietre trentine previsto dalla legge provinciale non ha corrisposto in modo adeguato al ruolo che la legge ha inteso assegnargli quale strumento strategico per il coordinamento e per l’integrazione delle attività e delle iniziative dei diversi soggetti coinvolti nel settore della pietra trentina e per la promozione di interventi e incentivi volti a favorire la competitività della filiera del porfido e delle pietre trentine e delle filiere collegate”;
e ancora: “Emerge la necessità di ripensare strutturalmente il Distretto in funzione di una effettiva valorizzazione del settore lapideo trentino, in modo da aumentare il coinvolgimento degli operatori nelle responsabilità di gestione e di sviluppo delle attività, anche attraverso una nuova configurazione più snella ed equilibrata di tale organismo che, come emerso dalle consultazioni, continua a essere percepito come strumento astratto, calato dall’alto e pletorico nella sua composizione, con scarsa capacità di assicurare le necessarie ricadute sul sistema in assenza di adeguati strumenti, in qualche modo impositivi, per agevolare la concretizzazione dei propri progetti”;
sulla base di quanto sin ora illustrato appare del tutto chiaro come le amministrazioni comunali non siano strutturalmente configurate per gestire il complesso quadro giuridico inerente all’attività di cava del porfido e di conseguenza si trovino esposte a rischi contabili, amministrativi ed anche penali. A tal proposito vi sono sicuramente una serie di passaggi burocratici superflui imposti ai comuni che potrebbero essere posti in capo direttamente agli uffici provinciali;
in linea generale, manca uniformità nell’applicazione della legge da parte dei singoli comuni con una conseguente e ovvia distorsione del mercato e della concorrenza, una situazione questa che con ogni probabilità ha contribuito ad aprire le porte a infiltrazioni della criminalità anche di stampo mafioso nel settore del porfido trentino;
a prescindere da quelle che saranno le risultanze processuali il rilievo e la valenza di carattere nazionale assunti dall’operazione Perfido hanno senza dubbio contribuito a portare alla luce fatti e carenze che potrebbero a loro volta sostanziare un danno d’immagine riguardante almeno alcuni territori compresi all’interno della Provincia Autonoma di Trento. A tal proposito sarebbe opportuno quindi valutare la sussistenza dei presupposti giuridici per l’avvio di un’azione risarcitoria nei confronti dei soggetti eventualmente resisi colpevoli, attraverso i loro comportamenti, di aver recato nocumento all’immagine del Trentino;
tutto ciò premesso il Consiglio provinciale impegna la Giunta
- a predisporre un’analisi propedeutica alla definizione di un progetto di riforma e armonizzazione normativa del settore delle attività minerarie di seconda categoria e dell’attività estrattiva del porfido, in particolare al fine di riassumere in capo alla Provincia, i processi amministrativi e di controllo ora in capo ai comuni, ricordando che la stessa Provincia è titolare anche della disciplina degli usi civici e comunicare quindi l’esito dell’analisi al Consiglio provinciale entro 6 mesi dall’approvazione del presente ordine del giorno (BOCCIATO);
- a valutare l’esistenza o meno dei presupposti per un’azione civilistica sotto il profilo del danno diretto o indiretto (danno all’immagine) in relazione ai fatti illustrati nelle premesse ed in particolare quelli relativi all’operazione Perfido e comunicare l’esito di detta valutazione al Consiglio provinciale entro due mesi dall’approvazione del presente ordine del giorno e comunque prima dell’inizio dell’udienza dibattimentale (APPROVATO).
6 Replies to “Operazione Perfido. Sì alla proposta di costituire l’ente pubblico parte civile, no alla gestione amministrativa e ai controlli sul porfido alla Provincia”