Se le mafie hanno potuto mettere radici in Trentino la colpa è (anche) della politica che le ha coperte

Con le operazioni “Perfido” e “Freeland” la direzione distrettuale antimafia di Trento ha inequivocabilmente portato allo scoperto la pervasività dei fenomeni criminali attivi sul territorio della nostra Regione. Rispetto ai più tipici e appariscenti reati delle mafie, come l’estorsione, il sequestro di persona o il controllo del narcotraffico, le attività delle organizzazioni malavitose in Trentino paiono più orientate ad altre tipologie di reati, più difficili da individuare e dimostrare ma non per questo meno odiose, come la corruzione e lo scambio elettorale politico-mafioso. Da noi la malavita non si occupa solo di droga o denaro di provenienza illecita da lavare. La moneta di scambio sembrano piuttosto essere posti di lavoro agli amici, concessioni a canone privilegiato, pacchetti di voti da girare a seconda dell’opportunità, forniture per opere che non servono, magari a prezzi gonfiati e realizzate con materiali scadenti, e naturalmente favori di vario genere concessi anche sotto forma di provvedimenti amministrativi o normativi.

A prescindere da quelli che saranno gli esiti processuali, quanto già emerso dalle indagini è sufficiente ad affermare che in Trentino-Alto Adige le organizzazioni mafiose ci sono eccome, tappando la bocca, si spera per sempre, a tutti quei soggetti, alcuni anche insigniti di altissimi ruoli istituzionali, che fino a ieri hanno sempre negato ogni possibile infiltrazione criminale sul nostro territorio, arrivando persino a cacciare coloro che osavano sostenere il contrario. 

Oggi, grazie all’eccellente lavoro dell’Antimafia e delle nostre forze dell’ordine siamo messi tutti di fronte ad una realtà forse poco piacevole ma autentica e di conseguenza risulta davvero difficile fare ancora finta di niente. Le modalità di penetrazione della ‘ndrangheta sul territorio regionale spaventano soprattutto per la loro silenziosa normalità e per l’omertà che, salvo poche lodevoli eccezioni, rappresentate in primis uomini specchiati come l’ex segretario comunale di Lona-Lases e dai componenti del Coordinamento Lavoratori Porfido, ne ha reso possibile l’ascesa. Che il tasso di contiguità con la politica fosse alto lo sapevano in molti. Come spiegare altrimenti che persone che non hanno piegato la testa e hanno denunciato siano state punite con demansionamenti e perdite di lavoro? Sì, perché da noi la mafia è anche questo, magari non ti spara, ma ti attacca in maniera più subdola con la complicità dei suoi tanti e spesso potenti amici. 

Insomma i motivi di preoccupazione non mancano ed è pacifico che l’infiltrazione delle organizzazioni criminali non possa essere circoscritta a ristrette cerchie, confinate al settore del porfido o alla vendita e al consumo delle sostanze stupefacenti. Grazie ad alcune lodevoli e valorose persone, delle attività criminose nel settore del porfido sapevamo già molto. Quello che dobbiamo semmai tenere presente è che nel lungo lasso di tempo intercorso fra le denunce e l’intervento delle forze dell’ordine c’è stato chi, agendo in maniera criminale è riuscito ad accumulare ricchezze e potere, mentre altri che invece hanno fatto la cosa giusta hanno raccolto solo minacce e intimidazioni, perdendo il lavoro.

Nell’attesa che lo Stato agisse, gli affari sono andati avanti a lungo e di certo non sarà più possibile individuare tutti coloro che col malaffare sono diventati ricchi né tantomeno mettere le mani nelle loro tasche.

Risultato, si è persa ricchezza economica che apparteneva al territorio e il capitale sociale si è eroso di conseguenza, perché l’esempio impartito da queste vicende è stato pessimo: “Se fai il tuo dovere finisci male, meglio stare zitti, chinare la testa e vivere piegati”, è stata la lezione recepita da molti.

Infine va detto che se lo Stato ci ha messo un po’ a muoversi alla fine almeno lo ha fatto. Le istituzioni locali invece non sono solo state lente ma troppo spesso hanno preferito ignorare del tutto la questione arrivando a negarla con modi e maniere che ricordano certi film sul meridione d’Italia più che il tanto strombazzato rigore austro-ungarico.

Per quanto riguarda la mia personale esperienza politica, sin ora non posso purtroppo dire di aver visto alcuna reale volontà di mettere in campo una strategia di prevenzione di tipo sistemico da parte delle nostre Istituzioni locali. A dimostrarlo ci sono i tanti atti che ho presentato e le risposte, misere, ottenute. Anche laddove le proposte sono state approvate, sia in sede provinciale che in sede regionale, gli impegni non sono poi stati mantenuti. Basti vedere il continuo rinvio dell’adozione dei provvedimenti necessari all’istituzione di un osservatorio regionale sulla criminalità organizzata e sulla promozione della legalità, strumento che, in alternativa alla commissione consiliare antimafia è presente in quasi tutte le regioni d’Italia e che da noi invece, chissà come mai, manca. La realtà dei fatti dice che l’istituzione dell’Osservatorio è stata respinta in sede provinciale ed è ancora in attesa di valutazioni in Regione. A dimostrazione, se ce ne fosse ancora bisogno, che certa politica, che oggi parla ed esprime stupore, è molto meno decisa quando c’è da fare qualcosa che possa davvero contrastare i fenomeni di infiltrazione criminale.

* pubblicato sabato 24 ottobre 2020 su L’Adige

3 Replies to “Se le mafie hanno potuto mettere radici in Trentino la colpa è (anche) della politica che le ha coperte”

  1. LE INFILTRAZIONI MAFIOSE IN POLITICA NON SONO COSE SCONOSCIUTE A TRENTO.

    Sei in: Archivio > la Repubblica.it > 1988 > 07 > 24 >
    ADESSO PICCOLI SCEGLIE GAVA

    TRENTO “Buon ultimo arrivò Flaminio Piccoli. Il leader democristiano del Trentino ha accettato di inchinarsi allo scettro di Antonio GAVA (noto per aver avuto intrecci col Boss Raffaele Cutolo.) Da ieri la Corrente del Golfo, di recente ribattezzata Azione popolare, lambisce le rive dell’ Adige: Flaminio Piccoli, riponendo l’ orgoglio di capo dei dorotei, è entrato nel correntone del centro democristiano. Quando il quartetto Gava-Scotti-Bernini-Gaspari inventò il nuovo doroteismo nell’ affollata riunione dello Sheraton di Padova (settembre ‘ 87), Piccoli si tenne a distanza, poi rimase a guardare, alla ricerca forse di uno spazio proprio. Ma l’ avvicinarsi del congresso democristiano e le continue minacce alla sua leadership trentina hanno accelerato i tempi. E così, in una settimana, il suo entourage ha messo in piedi alla bell’ e meglio uno striminzito convegno durato tre ore in tutto. Né temi né discussioni. Il tradizionale manifesto della Dc, un bouquet di bandiere nazionali e di partito, un centinaio di presenti, in un pomeriggio da quaranta gradi all’ ombra. Evidente soltanto la fretta di Flaminio Piccoli di salire sul carro del nuovo vincitore doroteo, e l’ ansia di essere legittimato agli occhi di un partito che lo riconosce sempre meno come capo. E sì, perché il troncone doroteo di Trento si è spaccato in due: il presidente della giunta, Angeli, e l’ emergente assessore Malossini hanno abbandonato il vecchio padre trascinandosi dietro la maggioranza della Dc. Del gruppo fa parte anche il sindaco del capoluogo, Goio, e il presidente della Cassa di Risparmio, Vinante. La piccola corrente non ha perso tempo, ha mandato segnali fuori dai confini, raccogliendo l’ attenzione, ad esempio di Giovanni Goria, possibile outsider nella corsa alla segreteria della Dc. Non che fra i dorotei e Goria ci sia molto da spartire, ma la strizzatina d’ occhio ha allarmato Flaminio Piccoli, che si è sentito solo e abbandonato. Come se non bastasse, un’ altra cattiva notizia gli è arrivata da Bruno Kessler, senatore della sinistra morotea, l’ uomo più potente di Trento. Capo di una piccola corrente ma personaggio che non si discute, Kessler si è candidato alla presidenza della Provincia per le prossime elezioni d’ autunno, pur avendo ricoperto quella carica dal ‘ 60 al ‘ 74. Mossa tattica o voglia di rivincita? Non importa, l’ idea ha ulteriormente allarmato i piccoliani come il nipote Paolo, segretario provinciale del PARTITO (oggi in Consiglio Comunale di Trento, dopo le ultime elezioni comunali con Janaselli sindaco .) Prima di essere stretto nella tenaglia, Piccoli è corso ai ripari: l’ improvvisato convegno precongressuale con il meglio del nuovo doroteismo. A dargli manforte, Antonio Gava.”.. E così, già allora, mafia fu.

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